Tarda antichità e alto medio evo

Con lo spostamento del confine nordorientale dello stato romano prima sul fiume Risano e in seguito sul fiume Arsia, il nostro territorio diventò parte del regio X della divisione augustea dell’Italia.

L’area tra i fiumi Timavo e Quiete, i quali sotto il dominio romano appartenevano al territorio triestino, fu prevalentemente agricola. Oltre alla viticoltura e all’olivicoltura erano sviluppate anche la pesca, la raccolta dei molluschi, le saline, ecc. Tra le città di Trieste e Capodistria e anche l’entroterra, fu presente un forte intreccio di legami commerciali. Le città dipendevano molto dall’entroterra agricolo e contraccambiavano la campagna abitata con diverse tipologie di merci: da spezie a odori, da articoli artigianali a merce di lusso.

Verso la fine dell’VIII secolo, durante il regno di Carlo Magno, l’Istria fu conquistata dai Franchi. Il dominio Franco stimolava la colonizzazione dei nuovi poderi diffondendo il sistema feudale. Questo sollecitò gli Slavi a trasferirsi nel retroterra delle città marine, il che conseguentemente portò al cambiamento della compagine etnica della campagna abitata. L’insediamento dei territori prevalentemente spopolati delle città da parte della popolazione, allora ancora pagana, e le diverse forme di violenza subita dai cittadini sotto il duca franco Giovanni, causarono discordie e conflitti.
Si ritiene che gli abitanti dell’antica Aegida ai piedi di Sermino avrebbero dato all’area lungo la costa di Ancarano il nome di “Ultra”, che dopo diventò Oltra ossia Valdoltra.
Monastero San Nicolò d'Oltra

Il monastero San Nicolò d’Oltra deriva in qualche modo dalla chiesetta ubicata probabilmente nel 1053 a sudovest del territorio collinare, la quale venne in seguito regalata al padre superiore del monastero benedettino di Venezia San Nicolò del Lido di Venezia.
Venne eretto così a Valdoltra il monastero di San Nicolò d'Oltra, che negli anni allargò i suoi confini grazie ai doni degli abitanti vicini e alle acquisizioni dei secoli a venire. La costruzione del monastero fu conclusa, dopo vari intervalli, nel 1576, quando fu costruito anche il campanile. Nel tardo XVII secolo fu completata la facciata del monastero.
Questo monastero presentava i seguenti edifici: da una parte c’era il campanile, nel mezzo l’edificio a due piani con la forma ad elle, che rappresentava la parte principale del monastero e dall’altra parte un altro edificio più alto. Quest’ultimo serviva probabilmente da fabbricato rurale, in cui i monaci, che coltivavano parecchi terreni agricoli nei dintorni del monastero, conservavano i prodotti. L’edificio principale con la forma ad elle presentava nella parte meridionale un ingresso a tre archi e delle finestre rettangolari allineate su tutta la facciata, una accanto all’altra. L’edificio monastico era adiacente al campanile.

Il monastero di San Nicolò fu per i monaci benedettini di Venezia, che venivano spesso e volentieri in questa “valle oltra”, una dimora molto amata. Nel XVI secolo però le loro visite furono spesso interrotte dalla peste in Istria.
Nella prima metà del XVII secolo il complesso monastico a Valdoltra perdette la funzione prettamente di monastero ed acquistò quella di luogo di villeggiatura.
Nel XVIII secolo, il monastero fu definitivamente abbandonato. Verso il 1775 infatti il monastero di San Nicolò, con tutti i suoi beni, materiali e immateriali, fu comprato dai fratelli Pietro e Giovanni Madonizza. Il contratto di compravendita stipulato tra la famiglia capodistriana e la Repubblica Veneziana comprendeva una clausola speciale con cui si proibiva che il complesso monastico acquistato potesse ritornare in funzione. Nel XIX secolo ci sono stati ingenti lavori di ristrutturazione, visibili anche oggi, ordinati da Pietro e Nicolò Madonizza.

Poderi feudali e ville signorili

Le fonti citano che l’area di Monte Moro (124 m) fu abitata e divisa in feudi molto presto.
La famiglia nobile Spelati (Spelatis) ricevette infatti il feudo già nel XV secolo dai vescovi di Capodistria.
Altri padroni o gestori di quest’area, nota per le buone condizioni climatiche per la crescita della vite e dell’ulivo e conosciuta anche per la produzione di liquori, furono le seguenti famiglie nobili: Galli, Almerigotti, Brutti, Belli e Grisoni con il podere “Villa Florida”.

La serie di ville patrizie comincia a Punta Grossa con la “Villa Gavarda”, oggi ingrandita e restaurata completamente.

Nella direzione verso il centro di Ancarano, su un terrazzo, cinto dal muro in mezzo al giardino e soprastante la strada e la costa marina tra Valdoltra e Punta Grossa, si trova una villa ben preservata del XVII secolo. Si tratta della “Vila Andor”, chiamata all’epoca “Villa Galli”.

Non lontano da qui, sul belvedere a nord del complesso ospedaliero Valdoltra, fu ubicata la “Villa Manzini”, mentre nella parte orientale di Ancarano, soprastante la strada principale, si trova, tra gli edifici moderni, “Villa Brutti” con la facciata principale decorata con un fronte a triangolo.

Parecchie ville patrizie, ancora ben preservate, si trovano anche nella parte sudorientale del territorio ancaranese, precisamente nelle vicinanze dell’ex complesso ospedaliero per i malati di polmonite. A sud della strada principale si trova anche l’allora “Villa Almerigotti”.

Tra le più note è sicuramente la “Villa Petronio”, ossia una villa di rappresentanza, imponente e abbastanza bene conservata. Si tratta di un edificio barocco a due piani con il risalto sulla simmetrica facciata sud, che dà sul giardino.

A metà del XIX secolo, la villa, ancora nel possesso dell’ing. Benedetto Petronio, diventò il luogo di raccolta di una vera collezione museale privata che comprendeva soprattutto numerosi stemmi ossia composizioni araldiche, diverse lapidi e frammenti architettonici di numerose ville e monasteri abbandonati o restaurati di Capodistria. All’ inizio del XX secolo la villa fu inserita nel complesso dell’ospedale di Ancarano trasformatosi in sanatorio; lo storico giardino barocco davanti alla villa è andato quasi tutto perduto a causa della costruzione di un complesso di unità abitative alcuni anni fa.

XIX secolo: nuovi comuni e aumento della popolazione

Al tempo delle Province Illiriche la vasta area circostante Ancarano era sotto l’amministrazione del comune di Muggia. Tale divisione amministrativa durò sino all’anno 1813, quando l’Austria occupò le Province Illiriche e rinnovò il circondario triestino. Facevano così parte del comune principale di Muggia i sotto comuni di Caresana, Gabrovizza, Hribi, Ospo, Noghere, Scoffie, San Bartolomeo, Valdoltra e Ancarano.

Nel 1868, nella circoscrizione giudiziaria di Capodistria, furono costituiti i comuni regionali di Capodistria, Villa Decani, San Dorligo della Valle, Muggia e Pomiano. Il comune di Muggia comprendeva c. c. Muggia, Valdoltra, Hribi, Noghere e Scoffie. Tale divisione amministrativa si preservò fino alla fine della grande guerra ovvero fino alla caduta dell’impero Austro-Ungarico.

Sotto l’Italia, nel periodo tra le due guerre, ci furono dei cambiamenti riguardanti il comune di Muggia, passato insieme al San Dorligo della Valle sotto l’amministrazione regionale di Trieste; parte dei c. c. di Scoffie e Valdoltra invece è passata sotto l’amministrazione del comune di Capodistria.

I dati riguardanti la popolazione del comune di Muggia, con annessi i luoghi di Scoffie, Noghere e Valdoltra, mostrano che dall’anno 1850 all’anno 1936 il numero di abitanti crebbe da 3.834 a 12.028. Nel 1923 Muggia fu annessa alla Regione Triestina, come menzionato sopra, ma senza una parte dei comuni catastali di Scoffie e Valdoltra. Nel periodo del censimento del 1869, Scoffie, Ancarano e Noghere erano ancora annessi al comune di San Dorligo della Valle, gli abitati di Scoffie e Ancarano furono congiunti al seguente censimento nel 1880. Sul territorio di Valdoltra, con gli abitati da Chiampore a Colombano e Punta Grossa, il numero degli abitanti variava da 640 nel 1850, poi 2.324 nel 1910 a 2.024 nel 1931, mentre nel 1936 il numero diminuì a 1.884.

Nel periodo tra le due guerre, la spiaggia di San Nicolò era la spiaggia principale dei Capodistriani, degli abitanti dei dintorni, ma prevalentemente dei Triestini. Lungo la spiaggia, che si estendeva dal molo di Santa Caterina quasi fino all’inizio dell’odierno campeggio Adria, per quasi un chilometro, erano allestite molte cabine da spiaggia.

Origine del toponimo Ancarano

Ci sono più ipotesi, sull’origine del toponimo Ancarano. Negli ultimi tempi sta prevalendo quella del monaco benedettino col nome di Ancarano (A. Tomasich,1886). Secondo il Combi invece, il toponimo risalirebbe alla definizione romana per il podere. Il toponimo Ancarano copriva evidentemente l’intera area da Santa Caterina fino al confine con Scoffie. Queste testimonianze non vengono fornite solo dalla mappa del vescovo capodistriano Paolo Naldini, ma anche dal progetto riguardante le saline di Capodistria dell’architetto Petronio (1774). Nel progetto, oltre alle Saline di Ancarano, sono menzionati anche i monti di Ancarano (Monti detti Ancarano).

In base all’origine della parola invece, si suppone che il toponimo Ancarano sia di origine romana e quindi l’espressione più simile latina è dunque la parola ‘ancora’, usata anche per definire un piccolo porto o asilo.

Ad Ancarano in Abbruzzo però, dove geograficamente il nome della città non può provenire da ancora, sostengono che la radice del loro toponimo risalga alla dea etrusco piacentina Ancaria – protettrice contro le invasioni nemiche.
L’area del nostro Ancarano invece è ideale per gli ormeggi e oltretutto sembra poco probabile che il culto di Ancaria sia potuto giungere fino all’estremo nord dell’Adriatico.

Fonte: Comune di Ancarano